Titolo originale: We need to talk about Kevin
Regia: Lynne Ramsay
Interpreti: Tilda Swinton, John C. Reilly, Ezra Miller
Durata: 112′
Origine: UK, USA
TRAMA. Terza opera della regista Lynne Ramsay, il film racconta attraverso una serie di flash back la storia di un “normale” ragazzo americano. Kevin ha 18 anni, ed è in carcere per aver commesso una strage con l’arco nella palestra della sua scuola. Due anni dopo quell’evento, la madre Eva ripercorre i ricordi, in cerca delle proprie mancanze, delle proprie responsabilità e di un perché. Aveva messo da parte le sue ambizioni professionali e il suo amore per New York per crescere Kevin in provincia e in tranquillità, ma il rapporto tra madre e figlio era sempre stato complicato, fin dal principio. Da neonato non smetteva mai di piangere, da bambino non parlava, poi non aveva mai fatto altro che disobbedire. Tutto contro la madre, per provocarla e addolorarla. Kevin cresce apparentemente senza altri problemi come tutti ragazzi della media borghesia americana, finché a 16 anni premedita con accuratezza il gesto di ribellione massima, che lo “libererà” dall’ossessione della sua disastrata famiglia o forse dalle ossessioni della sua disastrata mente; o da entrambe. Il cuore del film è sicuramente nella storia d’amore tra madre e figlio, un amore-odio, pieno di ambiguità e di non detti, fatto non si sa bene se di troppa remissione, di eroica resistenza o di incontrollabile destino.
Il film è stato presentato in anteprima e in concorso al Festival di Cannes nel maggio 2011, successivamente è stato presentato in numerosi festival internazionali, tra cui il Toronto International Film Festival. Ha vinto il premio come miglior film al London Film Festival. La protagonista Tilda Swinton si è aggiudicata il premio come miglior attrice agli European Film Awards, ai National Board of Review Awards e ai San Francisco Film Critics Awards. Il film ha ottenuto inoltre sei candidature ai British Independent Film Awards, vincendo il premio per la miglior regia.
CRITICA. Sul fronte estetico il film è molto insistito. Il colore del sangue è declinato e ripreso in tutti i modi possibili, con la sequenza iniziale dei corpi imbrattati e annegati nel pomodoro – che setta immediatamente gli assi cartesiani della tragedia in corso, quello lirico e quello quotidiano, famigliare – e poi con la vernice, la marmellata, la stampa sulla T-shirt, le ferite, i bersagli. Anche il montaggio è studiatissimo, rimescolato al millimetro, costruito per la tensione. A questa estrema eleganza di modi e di temi del girato corrisponde e al contempo sfugge il tappeto sonoro, magnificamente lavorato, dal quale passa, senza soluzione di continuità, il flusso sentimentale del film: il dolore, la paura, la rabbia, lo sprazzo di felicità e la disperazione della protagonista. Non tutto convince, ma il colpo arriva comunque allo stomaco, perfettamente assestato, come tirato con l’arco da un professionista. (Marianna Cappi, Mymovies)
Abbandonata da un marito assente e che non le crede, non trova nessuno disposto ad accettare il fatto che il figlio sia disturbato, difficile e pericoloso. Ha ragione. Infatti Kevin, all’età di 16 anni, compie una strage nella palestra della scuola uccidendo diversi studenti con il suo arco. Tormentata dai genitori dei ragazzi morti e distrutta per tutto ciò che è accaduto, cercherà di aggrapparsi all’unica cosa che le da la forza di andare avanti: cercare di capire perché Kevin abbia deciso di compiere un gesto così estremo. E ora parliamo di Kevin è un film angosciante, sporco e cattivo. Si apre con la Tomatina, la famosa battaglia dei pomodori di Valencia, quasi una metafora del sangue che scorrerà in seguito. Tilda Swinton è completamente ricoperta di succo di pomodoro, un colore che la sporcherà per tutto il film: vernice, marmellata e sangue, quel sangue che non riesce a togliersi di dosso nemmeno dopo averlo lavato via. Splendida Tilda Swinton, nel ruolo di madre distrutta, perennemente in lutto, magra, emaciata e sporca. Una donna finita che cerca in ogni modo di andare avanti. E sono bravissimi anche gli attori che interpretano Kevin nelle varie età: neonato, bambino e adolescente. Tutti e tre inquietanti, antipatici, strafottenti e senza empatia. Il padre, interpretato da John C. Reilly, fa la parte del cretino che non capisce la gravità della situazione.
Quasi un horror, terribilmente attuale, estremamente reale: Kevin non è il Damien di The Omen, è un adolescente come tanti, disturbato, che vuole essere amato e che tenta di urlare il suo bisogno di amore compiendo un atto che non potrà mai essere dimenticato. Stupefacente, ma non poi tanto, la mancanza di una presa di posizione da parte dei genitori: se tuo figlio uccide il cincillà della sorella, le brucia un occhio con l’acido e ordina un numero imprecisato di lucchetti per la bicicletta, senza possederne una, allora è il caso di smettere di farsi delle domande e cercare delle risposte. Se si tralascia questo particolare, preoccupante ma reale in molte famiglie moderne che tendono a giustificare tutto, il film risulta un ottimo prodotto che, come prevedibile, non farà grandi incassi vista anche la distribuzione minimale nelle sale italiane. (http://www.mondorosashokking.com)
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