Non so più da quanti anni non facevo una gara di Campionato FIARC, e da quanto tempo non andavo in trasferta nella bellissima Toscana. L’occasione mi è stata data dalla decisione di formare una nutrita Squadra 01VERB per il Campionato Italiano 2015, e di conseguenza dalla necessità di fare entro la fine dell’anno le quattro gare necessarie per la qualificazione. Così, festeggiando i miei primi 20 anni con gli Arcieri del Verbano, sabato 11 ottobre abbiamo messo in marcia il fedele Dinghy 8 e ci siamo spupazzati 400 km per ritrovare, dopo tanti anni, l’impagabile ebbrezza di rompere e perdere frecce ansimando in piazzola dopo essersi scapicollati ripide salite e scivolose discese. Destinazione la piana di Firenze, dove ci attendeva una gara del tipo Percorso organizzata dalla Compagnia degli Arcieri del Rovo.
Targa all’ingresso del campo.
La 09ROVO è una compagnia che potrei definire storica: è infatti attiva da 25 anni (la FIARC esiste da 30), e tra le sue tradizioni c’è quella di partecipare alle tipiche rievocazioni medievali in cui arco e arcieri fanno la loro bella figura. Ha inoltre una scuola regionale di tiro molto attiva. Il campo di allenamento si trova a Lastra a Signa, una località che mantiene il fascino delle vecchie cittadine toscane: situata tra l’Arno e le colline, a una decina di chilometri da Firenze, era rinomata in passato per la lavorazione della pietra (da qui il suo nome) e dei famosi cappelli di paglia fiorentini.
Sabato il tempo non prometteva nulla di buono. Al campo si arriva dopo un breve tratto di sterrato, ed per la gioia del Dinghy, che ha sempre molta nostalgia della Grecia, abbiamo agevolmente parcheggiato al margine di un uliveto. Dopo un’escursione a Scandicci a casa di amici, il meritato riposo sotto un’acquazzone da far tremare i polsi.
Al mattino ci sveglia il ronzio del generatore, e le chiacchiere dei primi arrivati. Ben presto mi do una sistemata e mi presento alla conferma iscritti, dove lo staff ha allestito un veloce punto colazione. Dopo tutti questi anni, quante facce sconosciute! un saluto e poche chiacchiere con Davide Grossi e con Tiziana Mecherelli, e poi la voce tonante di Marco chiama per l’appello pattuglie. Io sono alla 23, praticamente l’ultima a partire. Per fortuna, non piove.
Aquila Rossa al tiro.
Il percorso di gara si sviluppa intorno a una collina, di cui abbiamo subito dovuto risalire il fianco ovest. La prima piazzola era in discesa, a lato di una mulattiera che la pioggia notturna aveva reso molto scivolosa. Veloci convenevoli, armare l’arco, controllare le frecce, un minimo di ginnastica e poi, come da tradizione, primo al tiro. Piazzola a tempo, 25′, bersagli lontanissimi: li manco; per un pelo, ma li manco. In compenso, le frecce allestite con amore da Igor Piantoni qualche sera prima volano benissimo, raggiungono e perfino superano i 40 metri senza cadere a piombo. Segno (mi dicono gli esperti compagni di pattuglia) che non devo scoraggiarmi, che almeno so ancora tirare, anche se a dispetto di ogni regola tengo il gomito basso. Le piazzole si succedono senza fretta, anzi fin dalla terza (un bisonte in mezzo a un prato con un particolare gioco luce-ombra, freccia 3 in ginocchio), già siamo in coda dietro alla pattuglia che ci precede, che a sua volta è in coda dietro un’altra e così via. Quelli che ci seguono ci hanno già raggiunto (ma loro sono in 5 noi in 6, e abbiamo fatto due piazzole a tempo e una in ginocchio in stretta successione), e tra pochi tiri ci staranno praticamente per tutta la gara col fiato sul collo. Mi fermo qui: non voglio annoiare il mio unico lettore con le annose questioni sui “tappi”, condite dalle solite leggende metropolitane e dai borbottamenti contro i Capicaccia, che peraltro nulla possono contro la stupidità umana.
Nemmeno racconterò nel dettaglio lo svolgimento della gara, che era in genere molto impegnativa almeno per le mie deboli forze e per la mia del tutto inesistenze preparazione. Tralascerò di fare commenti sulle sagome troppo piccole messe a distanze troppo grandi: succede in tutte le gare, ed anche noi della 01VERB qualche volta ci lasciamo prendere la mano. Sorvolerò sui dettagli del punto ristoro, non mi occuperò nemmeno della premiazione, visto che dopo più di sei ore di gara, pieno di gioia per aver riportato a casa senza danni 8 frecce su 9, abbiamo approfittato della presenza del camper per rifocillarci con una spettacolare carbonara e dunque ci è arrivata solo una lontana eco degli applausi. Una parola però sulla durata della gara la vorrei dire, facendomi in questo portavoce di tutti i componenti della pattuglia, da quelli con maggiore anzianità ai più giovani arcieristicamente parlando: 6 ore e mezza sono un’esagerazione. Forse ho memoria corta, ma, via dal Campionato Italiano, non ricordo gare così lunghe. Forse in FIARC qualcosa è davvero cambiato, e in peggio. Riporto senza ulteriori commenti la teoria di un compagno di pattuglia iscritto dal 2009 (l’anno in cui ho lasciato i campi di gara) e dunque né troppo giovane né troppo vecchio: la FIARC si è riempita di “fighetti” che si prendono tutto il tempo perché puntano alla classifica e non al divertimento.
Invece, e proprio sul punto “stile di vita della tua pattuglia”, potrei passare il resto dei miei giorni a raccontare quanto sia stato fortunato ad incontrare, la prima volta dopo tanti anni, un gruppo di persone tranquille e motivate, allegre ma senza esagerare, corrette e disponibili. Fin dall’inizio, hanno accolto con pazienza i miei impedimenti fisici raccogliendomi le frecce fuori: tante, per fortuna quasi tutte nei pressi dei bersagli; ma il percorso era tale per cui se avessi fatto tutto il mio dovere di arciere e non il pelandrone avrei finito con il ritardare moltissimo la pattuglia. Persone di diversa età e caratteristiche, mediamente tutti arcieri molto più bravi di me e ben capaci di mettere a segno la maggior parte delle loro frecce, ma tutti sempre pronti a caricarmi quando, caso più unico che raro, ho messo frecce in tutte e tre le sagome; o quando, al contrario, le benedette frecce volavano drittissime verso il centro del bersaglio… sorvolando poi di pochi millimetri la schiena. Nessuno spazio per le vanterie, niente aneddoti di vita vissuta; poche le chiacchiere, soprattutto commenti (e sempre dopo aver tirato tutti) sui bersagli e sui tiri. Nessuna rivalità anzi molti incoraggiamenti, non dico nei miei confronti perché non faccio testo, ma nemmeno tra diretti concorrenti. Nella pattuglia 23 era del tutto assente quella fastidiosa sindrome dell’arciere che quando qualcosa va storto se la prende con l’universo mondo, a partire dal Capocaccia che ha abilitato un percorso così malfatto, eccetera.
A questa vera Signora Arciera, che ho scoperto essere praticamente una mia compaesana oltre che una quasi coetanea; a questi veri Signori Arcieri voglio dire un GRAZIE di cui spero apprezzeranno il significato profondo: Grazia, Giampaolo, Fedele, Carlo e Alfio, mi avete restituito la voglia di giocare.
La pattuglia 23.
Da sinistra: Pino Arpaia (7166 01VERB), Giampaolo Fabbri (17728 21FSTA), Fedele Brienza (30851 08MEDI), Grazia Impero (29484 08MEDI), Carlo Bartolini (26978 08TIME), Alfio Coco (15281 09ROVO).
servizio fotografico più ampio nell’apposita sezione (ARCOTECA)