Titolo Originale: Shichinin no Samurai
Regia: Akira Kurosawa
Interpreti: Toshiro Mifune, Takashi Shimura
Durata: 192′
Origine: Giappone
TRAMA. C’era una volta in Giappone un medioevo pieno di signori tanto prepotenti quanto impotenti, e di predoni avidi e sanguinari. Tra l’incudine e il martello, c’era una volta in Giappone la gran massa di contadini che dava da mangiare agli uni e agli altri, e a condividerne la povertà – ma non l’atteggiamento servile – c’erano i Ronin, ovvero i Samurai senza padrone, una specie di cavalieri erranti del nostro medioevo fiabesco. C’era un villaggio messo sotto minaccia da una banda di 40 predoni. Gli abitanti decidono di assoldare un Ronin per organizzare la difesa, ma alla fine se ne troveranno sette, uno diverso dall’altro ma tutti altamente combattivi. A partire dal primo, Kambei Shimada, maestro di strategia militare all’apparenza stanco e sfiduciato, ma attento e sensibile sia nella fase del reclutamento che in quella dell’addestramento. Spiccano tra i sette il comandante in seconda Gorobei Katajama, abilissimo arciere, e l’ultimo che si unisce al gruppo, un contadino rozzo e sbruffone a cui manca la classe e la cultura del samurai, ma che si dimostra estremamente determinato e combattivo nell’azione: Kikuchiyo. Film d’azione per eccellenza, senza peraltro trascurare l’intrusione del sentimento e dell’attrazione erotica, ovviamente “I sette Samurai” non possiede i ritmi incalzanti e gli effetti speciali della “modernità”, ma nella storia del cinema costituisce un assoluto caposaldo della narrazione psicologica, oltre che un emblema della lotta per migliorare la condizione umana. Ed è fantasticamente attuale nelle prime sequenze la reazione dell’anziano del villaggio ai lamenti dei suoi compagni: “Battiamoci!”; come è attualissima la batttuta di Gorobei: “Un giovane è meglio di un adulto, se lo si tratta da adulto”. Quanto all’arco, all’inizio della battaglia una sola freccia ben scoccata mette in fuga tredici banditi. Se è una metafora, è sicuramente molto efficace. In ogni caso, gli arcieri hanno una buona scusa per seguire con attenzione l’intero film: solo alla fine infatti, sotto l’acquazzone che imperversa durante l’ultimo attacco, Kambei Shimada impugna l’arco e con un gesto impeccabile scocca due bellissime frecce.
CRITICA: Da sempre e per sempre un punto di riferimento, oltre che uno dei rari casi in cui l’enfasi, più che consentita, è benvenuta, “I sette Samurai” vanta tante imitazioni quanti sono i plausi ricevuti negli anni. Per trent’anni ne è circolata una versione ridotta, insignita del Leone d’Oro, prima di una nuova epifania di durata superiore alle tre ore. Che è giusto quanto basta per poter affrontare tematiche che abbracciano il mondo dei samurai, dei contadini e dei briganti ma nel farlo abbracciano l’umanità intera, quella folla di minuscoli esseri che abitano, ma spesso infestano, il pianeta Terra. Come per Boccaccio l’evento della peste permetteva di scavare negli anfratti dell’animo umano, così per Kurosawa è il medioevo dei predoni a fornire il terreno ideale per mettere in scena le più diverse sfaccettature dell’uomo. Sette samurai per sette modi di essere e di difendere il senso dell’onore a dispetto degli interessi e del buon senso; tanto da aiutare i bisognosi quasi a prescindere dalla effettiva volontà di questi ultimi (sia l’accoglienza dei contadini che il ringraziamento nei confronti dei samurai sono disarmanti per ingratitudine). C’è chi sceglie di subire, accettando la sua natura di predestinato all’oppressione e chi non ci sta ed è disposto a sacrificare anche la vita per l’onore e la libertà, in una ricerca spasmodica – e totalmente nipponica – dell’autodistruzione: tanto i samurai che i banditi si prestano a un evidente gioco al massacro senza esitare nemmeno per un momento, laddove i contadini si ritraggono, fanno gruppo, sgattaiolando qua e là, ma in fondo dimostrandosi la specie darwinianamente vincente. Le scene corali di battaglia, specie lo showdown sotto la pioggia battente, restano a tutt’oggi esemplari per il verismo della messinscena e la sgangherata armonia degli assalti e delle ritirate di una lotta senza quartiere né inutili orpelli, resa ancor più vibrante dalla vigoria fisica di un travolgente Toshiro Mifune. (Emanele Sacchi, www.mymovies.it)
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