Artemide era la sorella gemella di Apollo, nata sull’isola di Delo dall’amore di Zeus e Leto. Secondo il mito, per passare inosservato, Zeus trasformò Leto e se stesso in quaglie.
Era, regina degli dei e moglie di Zeus, decisa a punire l’adulterio, maledisse la sua rivale, impedendole di partorire su qualsiasi terra dove avesse brillato il sole. Leto riuscì lo stesso a partorire a Delo, ai piedi del Monte Cinto.
La prima a nascere fu proprio Artemide, che subito dopo aiutò la madre a partorire il fratello Apollo.
Aveva molte cose in comune col fratello, ad esempio come le morti improvvise degli uomini erano attribuite ad Apollo, quelle della donne erano attribuite ad Artemide; come Apollo non era solo un dio distruttivo, ma aveva anche il potere di allontanare il male da lui stesso inflitto, così Artemide era allo stesso tempo soteira, ossia curava e alleviava le sofferenze dei mortali.
Assistette ad esempio Enea quando fu ferito sotto le mura di Troia e portato nel tempio di Apollo.
Nei tempi più antichi faceva parte del ristretto circolo dei Dodici Dei dell’Olimpo. Più tardi fu identificata come la personificazione della Luna crescente, insieme a Selene (la Luna piena) ed Ecate (la Luna calante).
Armata di arco e frecce d’oro, dimorava nei boschi con i suoi affidabili cani da caccia e con uno stuolo di ninfe. Artemide, signora della notte, era la protettrice della verginità e della pudicizia. Lo era talmente tanto che quando un cacciatore di passaggio la vide nuda mentre faceva il bagno, lo trasformò all’istante in un cervo, e così i suoi cani lo sbranarono.
Rischiarando di notte le strade col lume di luna, era considerata la protettrice dei viandanti e la loro guida, specialmente nei boschi. I boschi però, nelle notti di luna, si popolano di animali: lepri, cervi, daini, cinghiali e orsi; per questo Artemide era anche la dea della caccia.
Accompagnata dalle ninfe del boschi, le Driadi, e seguita da cani, percorreva le selve, con una veste corta, l’arco e la faretra. Cacciava le fiere ma le amava e le proteggeva, e guai a chi ne faceva indebitamente strage.
Amando troppo i boschi, la caccia e la vita libera all’aperto, Artemide non avrebbe potuto assoggettarsi al legame matrimoniale. Come Atena, disdegnava il matrimonio e gli omaggi degli uomini e degli dèi. Si racconta però che si era perdutamente innamorata di un pastore bellissimo di nome Endimione. Lo era così tanto da chiedere ed ottenere dal padre Zeus di congelarlo in uno sonno perenne e di conseguenza nell’eterna giovinezza. Così, scendeva ogni notte nella caverna dove il pastore dormiva, e le bastava guardarlo e stargli vicino in silenzio.
Tra gli animali le erano sacri la cerva, il cane, il cinghiale, il lupo l’orso e la quaglia; tra le piante, l’alloro, il cedro e l’ulivo. Il suo culto era presente in tutta la Grecia, e poi a Roma dove fu associata alla dea Diana; ma con diverse denominazioni era presente in tutto il Mediterraneo.
I maggiori luoghi di culto erano la sua isola natale Delo e il Santuario di Vravrona, nei pressi di Atene. Le fanciulle ateniesi di età compresa tra i cinque e dieci anni venivano mandate in questo santuario per servire la dea per un anno: durante questo periodo le ragazze erano conosciute come arktoi (“orsetti”).
I sacerdoti e le sacerdotesse devoti al suo servizio erano obbligati a vivere casti e puri; le trasgressioni del loro voto di castità venivano punite severamente.
Artemide è stata immortalata in decine e decine di opere d’arte, rappresentata come una giovane dal viso delicato e bellissimo, con l’arco e la faretra e con la veste corta; da sola o circondata dalle sue ninfe, per la sua qualità di dea della Luna aveva sul capo una corona di stelle o, più spesso, una falce di luna.
Ma tra tutte le statue quadri e affreschi che ho potuto ammirare, trovo bellissimo il gruppo della fontana nel Castello di Diane di Poitiers ad Anet, dove Artemide, impugnando un bellissimo ricurvo composito del XVI secolo, abbraccia il povero Atteone trasformato in cervo.