Torno a casa, se così si può dire. Sono giusto vent’anni: una domenica di inizio febbraio del 1995 con il grande Carlo Montagnini e alcuni altri Arcieri del Verbano ci alzammo all’alba delle 5 e dopo un lungo e tortuoso percorso arrivammo dalle parti di Millesimo, dove si svolgeva la prima gara del Campionato Regionale Ligure-Piemontese di quell’anno organizzata dagli Arcieri della Grande Aqua. Da pochi mesi avevo iniziato a frequentare arcieri e archi, ma non ero ancora iscritto in FIARC; perciò quel giorno avevo l’incarico di fotografare e di filmare, cosa che feci con gran piacere nonostante il freddo cane. Purtroppo la fiducia malriposta in persone a cui prestai quel prezioso materiale mi impedisce di riguardare quelle vecchie scene, molte delle quali sono ancora impresse nella mia mente: il fuoco acceso in un vecchio fusto di metallo, la varietà degli impennaggi e degli abbigliamenti, il buon sapore della focaccia ligure calda al punto di ristoro, la cordialità delle persone che vedevo per la prima volta, indimenticabili protagonisti della vita FIARC. Tra tutti, l’inossidabile Angelo Trotta, e gli altri mirabili arcieri di Finale Ligure, che mi perdoneranno se non ho qui lo spazio per nominarli tutti.
Proprio in Liguria feci la mia prima vera gara da neofita, un’amichevole organizzata da una compagnia finalese nei pressi di Calizzano; e poi a seguire negli anni, frequentando i campi liguri ben più di quelli piemontesi e incontrando mitici e indimenticabili maestri come Vezio Puglia. Sono passati 20 anni, a ancora non conosco il motivo vero di questa scelta. Non credo di essere troppo lontano dalla verità se dico che alla fine la gara di Tiro con l’arco in Liguria era ed è per me, che come arciere valgo veramente poco, una splendida occasione per fare una gita in luoghi davvero straordinariamente belli e pieni di umanità. Da molti anni, almeno 6, mancavo da quella terra aspra e gentile, piena di sole e vento. E proprio per questo ho scelto con cura il luogo dovrei avrei inaugurato questa stagione che porterà la nostra Compagnia ad essere più presente che in passato sui campi di gara: un bel Tracciato FIARC organizzato in Località Le Manie di Finale Ligure dalla 03Finà.
Sabato 31 gennaio. Arriviamo in terra ligure nel primo pomeriggio, e senza fatica parcheggiamo il camper lungo l’Aurelia, tra Varigotti e Finale, in vista di un mare agitato e fascinoso. Una lunga passeggiata per sgranchire le gambe, una lauta cena al calduccio della nostra casa mobile e poi, scesa ormai la sera, ci avventuriamo tra i contrafforti dell’Appennino Ligure in cerca della destinazione. Lungo la strada troviamo tracce di grandine, ma per fortuna nel Campeggio “La Foresta” non ne è rimasta, e ci piazziamo per la notte. Al mattino il sole illumina un paesaggio incantevole di macchia mediterranea, mentre le auto dei primi concorrenti iniziano ad affollare lo sterrato. La prima persona che incontro è la mia carissima Liliana Swich, zia Lilly per gli amici, seguita a ruota dal collega di tante avventure, Giacomo Swich; poi ecco Daniele Brancalion, Daniele Traverso, Anna Bonzani, e molti altri.
Dopo i preliminari alla base tattica del campo, dove ritrovo le colonne portanti degli Arcieri del Finale nel loro classico giubetto rosso, si comincia subito con un tiraccio impegnativo: tre stambecchi in direzione sud-est, ovvero da tirare con il sole negli occhi. Grazie a Dio, anche stavolta ci accompagna una pattuglia di gente tranquilla e senza grilli per la testa, bravissimi e concentrati ma senza perdere il gusto di scherzare quando è il caso. E tanto pazienti con il mio incedere reso molto cauto dal sovrappeso.
In genere, in tutta la gara i tiri erano molto impegnativi. Ho sentito in più occasioni usare l’aggettivo “tecnica”, che a me pare un cortese eufemismo in luogo del più volgare “cazzuta”. In realtà, credo che la tipologia Tracciato abbia in sé la perversione dei 10 tiri a tempo e dei 10 in ginocchio; ma non so perché a fine gara tutti avevamo l’impressione che i tiri in ginocchio, o quelli dove per inquadrare il bersaglio dovevi per forza inginocchiarti anche se non era prescritto, fossero ben più dei 10 da regolamento. E che molti dei tiri a tempo erano stati disposti con generoso acume tecnico, o per dirla a modo mio (absit iniuria verbis) con estrema cazzutaggine. Ma poiché in definitiva non ce l’ha prescritto il medico di farci centinaia di chilometri per giocare a far gli Arcieri in quel di Finale, è sacrosanto accogliere di buon grado anche il raffinato sadismo dei nostri grandi amici della 03Finà.
Inutile dirlo, nonostante il predicozzo del Capocaccia nei confronti dei perditempo, ben presto la Pattuglia 24 (Silvio della 01CICO, Mirella della 01VERB, Marina della 01LUPI, Pino della 01VERB e Antonello della 01DAHU) si trova a dover capitanare un folto manipoli di arciere e arcieri della categoria “pazienti”, quelli che si assoggettano senza troppe menate a stare dietro a un tappo (per i meno avvezzi, ricordo che in Arcieria di Campagna chiamasi “tappo” un gruppo di persone che rallentano la tua avanzata di piazzola in piazzola). Tanto che avremmo potuto fare un unico pattuglione da venti, fermarci per una ricca mezz’ora o più, e poi ricominciare con riscaldamento e tiri di prova, per riprendere la gara senza intoppi. Ma il buon umore non mancava lo stesso, e non mancò nemmeno quando, in una delle prime piazzole, una freccia di Antonello svanì nel nulla. Sorte seguita ben presto da una delle mie, fermata dalla rete battifreccia e scomparsa ai suoi piedi, per non parlare poi dell’incredibile avventura occorsa alla piazzola 23 a due sue consorelle, accuratamente recuperate dai miei volenterosi compagni e però mai giunte a destinazione. Scomparse nel tragitto di ritorno dal bersaglio alla tabella di piazzola, probabilmente ad opera del classico “munaciello” napoletano o delle più autoctone “strie”, di cui si favoleggia la Liguria sia piena.
Ma senza scomodare vergini e santi, certamente è colpa mia, perché ero all’ultima piazzola e più che arco e frecce guardavo il mare ligure e assaporavo l’incanto degli ulivi sparsi sui pendii terrazzati, comodamente seduto (e finalmente!) sul classico muretto a secco, rimuginando le amate parole del grande poeta ligure Eugenio Montale: “Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d’orto… osservare tra frondi il palpitare / lontano di scaglie di mare… com’è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia…” eccetera.
Errori, frecce perse, scarso punteggio, tutto scompare dietro la gioia di essere arrivato in fondo nonostante la fatica e di aver visto la mia compagna tirare (meglio di me) con il suo nuovo longbow e sfoggiare le sue bellissime frecce in legno costruite con amore dal grande Igor Piantoni. Lieta sorpresa, a fine gara un ricco piatto di polenta calda con salsiccia. Cosa vuoi di più dalla vita?